Se io facessi il fornaio, vorrei cuocere il pane
così grande da sfamare tutta, tutta la gente
che non ha da mangiare.
Un pane più grande del sole, dorato, profumato
come le viole.
Un pane così verrebbero a mangiarlo …
i poveri, i bambini, i vecchietti e gli uccellini.
Sarà una data da studiare a memoria. Un giorno senza fame!
Il più bel giorno di tutta la storia.
(G.Rodari)
Tra le grandi scoperte dell’uomo vi è l’arte di fare il pane.
Il pane è da sempre l’anima del cibo. Con la crosta croccante e la mollica morbida, profumato che già a sentirne l’odore ti viene fame, il pane è oggi meno amato di un tempo. Sarà perché non si ha più l’esigenza di sfamarsi come nella poesia di Rodari, o perché si vuole controllare l’apporto calorico per questioni di linea o ancora perché pane ed intestino sembrano non andare tanto d’accordo? Celiachia e gluten sensitivity sono le due manifestazioni patologiche legate all’assunzione di frumento e di altri cereali contenenti glutine.
La farina di frumento è composta per la maggior parte da amido (64%-74%) e da proteine di riserva (9-15%) e tra queste le principali sono gliadine e glutenine. A contatto con l’acqua e per azione meccanica, gliadine e glutenine si legano tra loro formando una maglia elastica alla quale diamo il nome di glutine. Così durante il processo di lievitazione i gas prodotti dal Saccaromyces cerevisiae rimangono intrappolati nella rete del glutine e l’impasto come per magia cresce.
“La gluten sensitivity e la celiachia sono parti di una gamma di disordini legati al glutine in cui ad un estremo vi sono i celiaci e all’altro le persone che possono mangiare pizza, pasta e biscotti. Al centro c’è questa indistinta area di reazioni al glutine, la sensibilità al glutine.”
A pronunciare questa frase è stato Alessio Fasano, direttore del Center for Celiac Research presso la University of Maryland e una delle tanti menti che abbiamo prestato all’America e che agli Americani ha fatto conoscere la celiachia.
I grani odierni, selezionati per avere un alto contenuto in gliadine e glutenine e allevati in modo da esprimere al massimo il loro potenziale genetico (iper-concimazione) hanno una quota in glutine superiore del 12% rispetto a quella dei grani “gentili”.
Questo sembra essere uno dei possibili motivi alla base della crescente incidenza di celiachia e di gluten sensitivity.
Alla luce delle più recenti scoperte non vi è più ragione di banalizzare di fronte al variegato corteo di sintomi che opprime i soggetti affetti da sensibilità al glutine. I sintomi sono tutti legati all’instaurasi di uno stato infiammatorio che persiste fin quando persiste l’esposizione al glutine e sono sovrapponibili a quelli della sindrome del colon irritabile: nausea, gastralgia, cefalea, sensazione di affaticamento, depressione, dolori muscolari, gonfiore post-prandiale, acne, obesità, disturbi ormonali, parestesie, vertigini, rush cutanei e chi più ne ha più ne metta.
A sentirla descrivere così non sembra uno scherzo eppure non essendo ancora inquadrata come entità nosologica la gluten sensitivity viene spesso interpretata come un problema di natura psico-somatica. Così il paziente affetto da questa condizione può sentirsi dire dal curante frasi del tipo “Ti sei fissato; non sei celiaco… il glutine lo puoi mangiare!”.
Non vi è più ragione di banalizzare, anzi sarebbe un errore dal momento che con una stima del 6% di prevalenza nella popolazione mondiale e di 3 milioni di italiani con trend in aumento la gluten sensitivity potrebbe essere una delle principali patologie al giorno d’oggi.
E allora non è un caso se l’argomento diventa oggetto di studio e se la prestigiosa rivista GUT ha pubblicato lo scorso luglio un lavoro dal titolo “Intestinal cell damage and systemic immune activation in individuals reporting sensitivity to wheat in the absence of coeliac disease” (Uhde M et al 2016).
Gli Autori sanno che la microflora intestinale condiziona il funzionamento del sistema immunitario innato. L’intestino diventa per certi versi la palestra del sistema immunitario che proprio in questa sede impara a controllare sia la flora normale che i patogeni facoltativi. Un sistema immunitario ben allenato è in grado di riconoscere e segnalare tempestivamente gli invasori microbici. Questi presentano sulla loro superficie specifiche strutture o “segnature” indicate con l’acronimo di PAMPs ovvero Pathogen Associated Molecular Patterns. Si tratta di polisaccaridi estremamente antichi e praticamente assenti nell’uomo e che consentono dunque al nostro sistema immunitario di distinguere tra il sé e il non sé e di aggredire in maniera selettiva i germi patogeni. Tra le “segnature” più studiate è da citare il lipopolisaccaride (LPS), componente della parete cellulare delle Enterobacteriaceae. L’LPS, per quanto spia di una disbiosi, dovrebbe rimanere confinato all’interno del lume intestinale. E invece no! Veniamo allora al punto. Se la microflora autoctona è in buono stato di salute (prevalenza di probiotici) essa è in grado di tenere in scacco gli opportunisti. L’intestino godrà anch’esso di buona salute e manterrà la sua fisiologica permeabilità lasciando passare ciò che serve e trattenendo ciò che potrebbe essere nocivo. Al contrario un intestino disbiotico diventa permeabile in maniera non selettiva, lascia passare di tutto ed in questo caso si parla di sindrome dell’intestino permeabile o leaky gut syndrome.
Sappiamo da tempo che la celiachia si associa ad un danno strutturale della mucosa intestinale con appiattimento dei villi, iperplasia delle cripte ed infiltrato linfocitario. È un dato di fatto che nella celiachia la permeabilità intestinale aumenti sensibilmente. Merito degli Autori è quello di aver dimostrato un’alterata permeabilità anche nei soggetti con gluten sensitivity. A causa di questa alterata permeabilità l’LPS passa attraverso la mucosa e troveremo a livello ematico anticorpi contro l’LPS e contro la flagellina (principale costituente dei flagelli batterici). Troveremo anche l’LBP ovvero una proteina legante l’LPS prontamente sintetizzata dal fegato quando la concentrazione di LPS aumenta. Che vi sia un danno strutturale nella gluten sensitivity è dimostrato anche dalla presenza a livello ematico di FABP2 (Fatty Acid-Binding Protein 2), una proteina citosolica specifica degli enterociti che viene rilasciata in circolo quando vi è un danno strutturale (un po’ come avviene con le transaminasi per il fegato). La sua concentrazione a livello ematico nella malattia celiaca è tanto più alta quanto più è grave lo stato di atrofia dei villi. La novità sta nell’averla trovata anche nei soggetti affetti da gluten sensitivity. Gli Autori hanno inoltre potuto verificare che la concentrazione di FABP2 è in proporzione a quella di LPB. Si dimostra così che anche nella gluten sensitivity vi è un danno strutturale con traslocazione di prodotti batterici attraverso la mucosa divenuta permeabile e attivazione dell’immunità innata come reazione di difesa dell’intero organismo.
Può questo intero processo avvenire in maniera silenziosa ovvero in assenza di sintomi? E possiamo ancora parlare per la gluten sensitivity di condizione psicosomatica? Sicuramente no!
Sappiamo infatti che monociti, macrofagi, cellule dendritiche esprimono i recettori Toll-like in grado di riconoscere i PAMPS come l’LPS. Una volta che i Toll-like receptors hanno riconosciuto queste molecole si innesca la produzione di citochine pro-infiammatorie quali TNFalfa, IL-1beta, Il-6.
Ma che ruolo avrebbe in tutto questo il glutine?
L’eccesso di glutine è in grado di condizionare la composizione della flora intestinale promuovendo la proliferazione di batteri patogeni. L’impatto dell’alimentazione sul microbiota è così forte che, come dimostrato in un recente studio, una dieta priva di glutine modifica la flora intestinale già dopo 4 settimane (Bonder MJ et al. 2016).
I patogeni sono a loro volta responsabili della produzione di sostanze ad azione infiammatoria che ledono l’integrità della mucosa intestinale facendola divenire permeabile. Il glutine inoltre a causa di una carenza di peptidasi (verosimilmente anche questa legata alla disbiosi) viene digerito parzialmente in peptoni anziché essere ridotto a singoli aminoacidi oppure a piccoli frammenti formati da due o tre aminoacidi (di e tripeptidi). Essendo voluminosi i peptoni non potrebbero passare attraverso la mucosa intestinale a meno che l’intestino non sia divenuto permeabile proprio come avviene nella leaky gut syndrome.
Dunque c’è il glutine, c’è la disbiosi, c’è la permeabilità intestinale e ci sono i peptoni che possono penetrare a livello della lamina propria scatenando in questa sede una serie di processi infiammatori. I fattori determinanti sembrano esse gli stessi sia nella celiachia che nella gluten sensitivity. La differenza sta nel fatto che nella celiachia è coinvolta l’immunità umorale (tipica è la produzione di anticorpi anti-gliadina, anti-endomiosio e anti-transglutaminasi) e nella gluten sensitivity l’immunità innata (con il sistema dei Toll-like receptors).
In conclusione la gluten sensitivity non è una nevrosi ma una vera e propria malattia.
Bibliografia
Uhde M et al. Intestinal cell damage and systemic immune activation in individuals reporting sensitivity to wheat in the absence of coeliac disease. GUT 2016
Bonder MJ et al. The influence of a short-term gluten-free diet on the human gut microbiome. Genome Med 2016